venerdì 7 giugno 2013

cimitero di noi soldati (tam-pù)

Avevano seguito le indicazioni di tre persone e ci erano arrivati, al cimitero. Avevano parcheggiato. Erano scesi dalla macchina. Avevano deciso di concedersi una sigaretta. Aveva iniziato a piovigginare. Pronti? Pronti.
Insomma.
Non c'era un servizio anagrafe. La donna delle pulizie pensava di ricordare dove fosse la tomba, poi si perdeva, chiedeva al giardiniere, anche lui pensava di ricordare ma si perdeva e chiedeva allo scemo del villaggio, lei era la depositaria di cognome e data di morte ed era lei, ogni volta, a dover ripetere a tutti i dati, e seguirli con lo sguardo mentre non trovavano la tomba, e lei guardava ogni lapide sperando di trovarla da sola, sperando che si facesse riconoscere, così, all'improvviso, e sapeva che stava facendo lo stesso anche lui, anche senza guardarlo; ma non la vedeva e le stava crescendo dentro una rabbia sempre più feroce, e quasi ringhiava quando avevano trovato il custode. E il custode aveva trovato la tomba. Non era in terra, ma inumata in una cappella. All'ultimo piano. Li aveva portati lì e li aveva lasciati soli. Davvero soli.
~
E poi, lei aveva guardato più attentamente la tomba, e aveva iniziato, piano, a ridacchiare. E poi a ridere più forte. E lui le aveva lanciato un'occhiata allarmata, tipo, non ti farai venire una crisi isterica qui, eh? No, aveva singhiozzato lei. Guarda la data. La data di nascita.
Si abbassava gli anni. Aveva sempre dichiarato a tutti x anni di meno di quelli che aveva. Dio, un genio. Sei sempre stata un maledetto genio.
E anche lui aveva riso e a quel punto tutto era diventato più facile; in primis, parlare male di quegli idioti di parenti. Degli imbecilli. Ma che foto hanno scelto? Ma dico, vi sembra lei? Ma dove stavi, che facevi quando ti hanno scattato quella foto, i capelli tirati su, tu che li hai sempre portati sciolti, e quell'aria per bene. Non era quella la foto da mettere per ricordarti, amica mia. Bisognava vederti con le tue strepitose minigonne nere, gli occhiali da sole con gli strass, le scarpe con la zeppa, le sigarette sottili.
E poi, non c'è una mensola. Un ripiano. Solo il portafiori coi fiori finti. Ma lei nella borsa aveva una cornice a giorno con dentro una poesia. La casa dei doganieri. Aveva studiato a lungo la situazione e aveva deciso che si poteva incastrare dietro il portafiori. Aveva chiesto a lui, tu soffri di vertigini? No, aveva risposto. Per favore, me l'incastreresti, la poesia, dietro il portafiori? Aveva recuperato la scala, era salito, aveva dato un'occhiata veloce. Aveva letto il titolo e sicuramente l'aveva riconosciuta. Lei la declamava sempre. Loro la prendevano in giro, per questo. E il saluto.
E poi era sceso e si erano concessi alcuni minuti di silenzio, e lei era andata via prima, perché voleva lasciarli un po' da soli. Perché anche la sua amica, potendo, avrebbe scelto l'amore, sull'amicizia. E quindi, è giusto che.
Poi lui l'aveva raggiunta, si erano infilati gli occhiali scuri, erano usciti sotto la pioggia, si erano fumati altre due sigarette, erano saliti in macchina, erano ripartiti. 

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